Scritto da Alessandro Viglione

C’è un momento della giornata, in certi borghi della Lombardia, in cui il tempo sembra piegarsi: il sole cala dietro le colline, i portoni si richiudono lentamente, e dai piccoli bicchieri compare un velo ambrato, denso, aromatico. È l’ora dei liquori, e qui — tra Alpi, laghi e pianure — ogni goccia è memoria liquida di saperi tramandati, silenzi raccolti nei monasteri, intuizioni di speziali e artigiani che con il tempo hanno codificato l’arte dell’infuso.

Il primo assaggio che ricordo non fu in una distilleria, ma in una casa di campagna tra Mantova e Cremona. Una zia — elegante e ruvida come solo certe donne lombarde — serviva un bicchierino di Nocino fatto in casa. Il profumo di noce verde, l’alcol che pizzicava, la dolcezza nascosta in fondo alla gola: era un rito, non una bevanda. Un gesto antico, misurato, che non chiedeva parole.
La Lombardia, sotto l’apparente discrezione dei suoi paesaggi, custodisce una geografia liquida fatta di liquori monastici, digestivi densi, amari erboristici e elisir da meditazione. A Valtellina si distillano Genziane forti, che sembrano unire la verticalità delle montagne alla severità delle tradizioni. Sui laghi, tra Como e Iseo, resistono piccole produzioni di liquori agrumati, che combinano scorze, spezie e spirito: un equilibrio sottile tra la freschezza e la memoria.

Uno dei più affascinanti, a mio avviso, è il Centerbe. Ogni bottiglia racconta di conventi silenziosi e pergameni antiche, di ricette custodite da monaci farmacisti e passate di mano in mano come un testamento spirituale. Artemisia, melissa, genziana, menta, camomilla: ogni erba ha una funzione, un tono, una presenza precisa. È una mappa etica e sensoriale del territorio, da leggere sorso dopo sorso.
Anche il Fernet, nato a Milano nel XIX secolo, merita rispetto. Non è facile, non è gentile. È uno di quei sapori che si imparano: come il silenzio nei conventi o la compostezza dei notai. Un liquore da adulti, che ti educa al gusto amaro della verità. Le sue note cupe — china, aloe, mirra, rabarbaro — sembrano voler dire: “Non tutto deve essere dolce per essere vero”.

Poi c’è l’Amaro Ramazzotti, anch’esso di origine milanese. Meno austero del Fernet, è più suadente, più urbano, forse più accessibile. Eppure anche lui nasconde sotto l’equilibrio aromatico una stratificazione di gesti, ricette, saperi. Come certe architetture della vecchia Milano, sa nascondere la complessità dietro una facciata sobria.

In provincia di Sondrio, alcune distillerie continuano a produrre l’Amaro Valtellina, spesso con aggiunte locali come bacche alpine, ginepro o radici raccolte a mano. Un distillato che racconta il confine tra l’uomo e la montagna, dove ogni ingrediente ha una stagione e un suo prezzo in fatica.

E che dire del Liquore alla Rosa di Varese? Ricavato dai petali di rose antiche, raccolte all’alba e macerate lentamente, è forse il più poetico dei liquori lombardi. Profuma di ville liberty, di giardini segreti, di lettere scritte a mano. Un distillato raro, come le emozioni che non si riescono a dire.

E poi, disseminati tra pianura e laghi, piccoli elisir di sambuco, prugnolo selvatico, erbe alpine. Non sono sempre noti, né facili da trovare. Ma si tramandano tra famiglie, si scambiano nei mercatini, si servono con discrezione dopo una cena. Ogni volta che ne incontro uno, mi torna in mente quella frase letta una volta su una bottiglia artigianale: “Liquore prodotto secondo antica norma”. E mi sono chiesto: ma di quale norma si tratta? Forse non è scritta. Forse è la norma del rispetto. Del tempo. Della lentezza.

Questi liquori non parlano a tutti. Ma parlano a chi sa ascoltare.

Se vi capita di passare per una distilleria lombarda, non chiedete subito di assaggiare. Chiedete prima di ascoltare. Vi racconteranno storie. E magari, con un po’ di fortuna, anche qualche piccola norma non scritta, che regola da secoli l’equilibrio tra natura, sapienza e spirito.

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Alessandro Viglione nasce a Milano, città in cui vive e lavora, e che rappresenta da sempre il fulcro del suo percorso umano e professionale. Uomo di cultura, dall’animo curioso e dallo stile sobrio ed elegante, si distingue per un approccio raffinato alla comunicazione, alla narrazione e all’esplorazione culturale.